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Lo scarso rendimento e l’eventuale disservizio aziendale determinato dalle assenze per malattia del lavoratore non possono legittimare, prima del superamento del periodo massimo di comporto, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con Sentenza  n. 36188 del 12 dicembre 2022.

I fatti di causa

Il lavoratore veniva licenziato a causa di numerose assenze per malattia, le quali si ripercuotevano pesantemente sull’organizzazione dell’impresa e rendevano scarsamente utilizzabile la prestazione del lavoratore quando presente.

Tali assenze erano comunque numericamente inferiori rispetto al limite massimo di conservazione del posto di lavoro (c.d. periodo di comporto) previsto dal CCNL applicato.

La sentenza della Corte di Cassazione

Secondo la Corte di Cassazione, la malattia non rileva ai fini dello scarso rendimento, in quanto le regole dettate dall’art. 2110 c.c. per le ipotesi di assenze da malattia del lavoratore prevalgono sulla disciplina dei licenziamenti individuali ed impediscono al datore di lavoro di porre fine unilateralmente al rapporto sino al superamento del limite di tollerabilità dell’assenza (cd. periodo di comporto) predeterminato dalla legge, dalle parti o, in via equitativa, dal giudice.

È infatti il superamento del periodo di comporto ad essere l’essenziale condizione di legittimità del recesso e questo nell’ottica di un contemperamento tra gli interessi del datore di lavoro (a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce) e del lavoratore (a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi, senza perdere i mezzi di sostentamento), riversando sul datore di lavoro il rischio della malattia del dipendente.

Ne deriva, per i Giudici di legittimità, che la non utilità della prestazione per il tempo della malattia costituisce un evento previsto e disciplinato dal legislatore con conseguenze che possono portare alla risoluzione del rapporto di lavoro solo dopo il superamento del periodo di comporto disciplinato dall’art. 2110 c.c. e dalla contrattazione collettiva.

In applicazione di tali principi lo scarso rendimento e l’eventuale disservizio aziendale determinato dalle assenze per malattia del lavoratore non possono legittimare, prima del superamento del periodo massimo di comporto, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Tale decisione, pur ponendosi in continuità con altri recenti precedenti della Suprema Corte ( ex pluribus n. 31763/2018 e n. 15523/2018), è apertamente in contrasto con la sentenza n. 18678 del 4 settembre 2014 la quale aveva invece ritenuto legittimo il licenziamento per scarso rendimento del lavoratore a causa del verificarsi di plurime malattie “a macchia di leopardo”, ovvero di malattie reiterate nello stesso mese, seppur per un numero ridotto di giorni, solitamente due o tre, sistematicamente agganciate a giorni di riposo, ferie o festività, e comunicate poco tempo prima del verificarsi dell’assenza.

Ad oggi la richiamata sentenza del 2014 continua a rimanere un unicum; anche la più recente giurisprudenza, infatti, pare confermare il principio per il quale le assenze per malattia non rilevano ai fini dello scarso rendimento e quand’anche la morbilità sia eccessiva, pur causando disagi organizzativi, non può determinare di per sé il licenziamento sino a quando non venga superato il periodo di comporto.